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Parco Nazionale del Gran Paradiso P. NAZ. G. PARADISO
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PARCO NAZIONALE DEL GRAN PARADISO
Il Parco nazionale del Gran Paradiso fu istituito nel 1922 con il RDL 1584 3/12/1922. È il più antico Parco nazionale italiano insieme al Parco Nazionale d'Abruzzo. Si estende a cavallo delle regioni Valle d'Aosta e Piemonte ed è gestito dall'Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, con sede a Torino. Si estende per una superficie di circa 70.318 ettari, su un terreno prevalentemente montagnoso.
Storia. La storia del Gran Paradiso è strettamente intrecciata con la salvaguardia del suo animale simbolo: lo stambecco (Capra ibex ibex). Questo ungulato, un tempo largamente diffuso a quote elevate, oltre il limite del bosco, su tutto l'arco alpino è stato oggetto di caccia indiscriminata per secoli. I motivi per cui lo stambecco era una preda così ambita dai cacciatori erano i più disparati: la succulenza delle sue carni, alcune parti del suo corpo erano considerate medicinali, l'imponenza delle sue corna ricercate come trofeo e persino il potere afrodisiaco attribuito ad un suo ossicino (la croce del cuore) spesso utilizato come talismano. All'inizio del XIX secolo si riteneva che questo animale fosse ormai estinto in tutta Europa finché l'ispettore forestale valdostano Delapierre (detto anche Zumstein, secondo la parlata di Gressoney) scoprì che negli impervi e scoscesi valloni che discendono dal massiccio del Gran Paradiso ne sopravviveva una colonia di circa cento esemplari.
La riserva reale di caccia. Il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice emanava le Regie Patenti con le quali ordinava:«Rimane fin d'ora proibita in qualsivoglia parte de' regii domini la caccia degli stambecchi». Questo decreto, che salvò lo stambecco dall'estinzione, non fu ispirato da valori di protezionismo ambientale, non contemplati nella mentalità dell'epoca, ma da mere speculazioni venatorie. La rarità di questi esemplari ne rendeva la caccia un lusso che il sovrano concedeva solo a sé stesso. Nel 1850 il giovane re Vittorio Emanuele II, incuriosito dai racconti del fratello Fernando, che durante una visita alla miniera di Cogne era stato a caccia, volle percorrere di persona le aspre valli valdostane. Partì dalla valle di Champorcher, valicò, a cavallo, l'omonima finestra a quota 2828 m. e raggiunse Cogne, lungo questo tragitto uccise sei camosci ed uno stambecco. Il re rimase colpito dalla abbondanza di fauna e decise di costituire in quelle valli una riserva reale di caccia. Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di Casa Savoia riuscissero a stipulare centinaia di contratti in cui i valligiani e i comuni cedevano al sovrano l'utilizzo esclusivo dei diritti venatori (relativi alla caccia al camoscio ed ai volatili, poiché la caccia allo stambecco era vietata ai valligiani, già da un trentennio) ed in alcuni casi persino dei diritti di pesca e di pascolo (vale a dire che i montanari non potevano più portare ovini, bovini e caprini sui pascoli d'alta quota riservati d'ora in poi alla selvaggina). Nasceva così ufficialmente, nel 1856, la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso il cui territorio era più ampio dell'attuale parco nazionale; infatti comprendeva anche alcuni comuni valdostani (Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche, Brissogne) che in seguito non furono inseriti entro i confini dell'area protetta. I valligiani, dopo i primi malumori, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli fino ad allora quasi al di fuori del mondo avrebbe portato benessere per la popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe fatto "trottare i quattrini sui sentieri del Gran Paradiso". Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, furono costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l'opera più importante che cambiò il volto delle valli aostane e canavesane fu la fittissima rete di mulattiere selciate fatte costruire per collegare i paesi con le case di caccia e quest'ultime tra di loro (coprivano una distanza di oltre 300 km). Queste strade furono progettate per permettere al re ed al suo seguito di spostarsi comodamente a cavallo all'interno della riserva. La maggior parte di esse è ancor oggi percorribile. Superano dei ripidi versanti con innumerevoli, ampissimi tornanti mantenendo sempre una lieve e costante pendenza. Si snodano in buona parte oltre i duemila metri ed in taluni casi superano i tremila (Colle del Lauson 3296 m. e Colle della Porta 3002 m.). I punti più impervi sono stati superati scavando il tracciato nella roccia. La carreggiata è lastricata di pietre, sostenuta da muri a secco costruiti con notevole perizia e presenta una larghezza variabile da uno ad un metro e mezzo. Il tratto meglio conservato si trova in Valle Orco; dal Colle del Nivolet, dopo un primo tratto a mezzacosta, la mulattiera reale scavalca i colli della Terra e della Porta, tocca la casa di caccia del Gran Piano (recuperata di recente come rifugio) per poi scendere al paese di Noasca.
Le battute di caccia del re. Re Vittorio si recava nella riserva del Gran Paradiso di solito nel mese di agosto e vi si fermava da una a quattro settimane. I giornali e le pubblicazioni dell'epoca esaltano il carattere bonario del re, che conversa e discute con grande affabilità, in lingua piemontese, con la popolazione locale e lo descrivono come un baldo cavaliere ed un fucile infallibile. In realtà le campagne di caccia erano organizzate in modo che il re potesse fare il tiro a segno sulle prede stando comodamente ad aspettare in una delle poste di avvistamento costruite lungo i sentieri. Il seguito del re era composto da circa 250 uomini, ingaggiati tra gli abitanti delle valli, che svolgevano le mansioni di battitori e portatori. Per quest'ultimi la caccia cominciava già nella notte. Si recavano nei luoghi frequentati dalla selvaggina, formavano un enorme cerchio attorno agli animali e poi con urla e spari li spaventavano in modo da spingerli verso la conca dove il re era in attesa dietro una vedetta semicircolare di pietre. Soltanto il sovrano poteva sparare agli ungulati; alle sue spalle stava il "grand veneur" che aveva l'ordine di dare il colpo di grazia agli esemplari feriti o sfuggiti al tiro del re. Oggetto della caccia erano i maschi di stambecco e camoscio adulti. Ne venivano abbattuti diverse decine al giorno. Nonostante queste annuali carneficine, la scelta di risparmiare le femmine ed i cuccioli favorì l'aumento del numero degli ungulati e le caccie reali divennero di anno in anno più abbondanti. Il giorno dopo la caccia il re ed il suo seguito si trasferivano alla successiva casa di caccia, la domenica era di riposo per i battitori e dai paesi qualche prete saliva a celebrare la messa all'aperto. Il percorso maggiormente battuto dal re durante i suoi tours del Gran Paradiso era il seguente: partiva da Champorcher, valicava l'omonima finestra (2828 m.), scendeva a Cogne, raggiungeva Valsavarenche passando dal Colle Lauson (3296 m.), saliva al Colle del Nivolet (2612 m.) e da qui si inoltrava nel territorio piemontese passando sopra Ceresole Reale per poi scendere fino al paese di Noasca (1058 m.) lungo il vallone di ciamosseretto (come dice il nome ricchissimo di camosci). Le case di caccia maggiormente utilizzate furono quelle di Dondena (2186 m.), del Lauson (2584 m., oggi rifugio Vittorio Sella), di Orvieille e del Gran Piano di Noasca (anche quest'ultima recentemente recuperata come rifugio). Anche i successori di Re Vittorio, Umberto I e Vittorio Emanuele III, intrapresero lunghe campagne venatorie nella riserva. L'ultima caccia reale si svolse nel 1913. Vittorio Emanuele III, più colto e meno affabile con i valligiani del nonno, cambiò orientamento e decise, nel 1919, di cedere allo Stato i territori del Gran Paradiso di sua proprietà con i relativi diritti, indicando come condizione che si prendesse in considerazione l'idea di istituire un parco nazionale per la protezione della flora e della fauna alpina.
Il parco nazionale. Il 3 dicembre 1922 re Vittorio Emanuele III firmava il decreto legge che istituiva il Parco Nazionale del Gran Paradiso. L'articolo 1 del decreto sancisce che la finalità del parco è quella di "conservare la fauna e la flora e di preservare le speciali formazioni geologiche, nonché la bellezza del paesaggio". L'articolo 4 sancisce che la gestione è affidata alla Commissione Reale del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Seguono una serie di norme: nel perimetro del parco sono vietate la caccia e la pesca, l'accesso con cani, armi ed ordigni che servano a tali scopi, la Commissione può sospendere e regolare il pascolo in alcune località. Il servizio di vigilanza venne affidato al Corpo Reale delle foreste che reintegrò tutti i guardaparco della vecchia riserva che ne fecero richiesta. Vennero poi gli anni bui del parco. Nel 1933 fu abolita con regio decreto la Commissione Reale e la gestione del parco passò al ministero (fascista) per l'Agricoltura e Foreste. La sorveglianza, affidata alla Milizia Nazionale Forestale, divenne una sorta di servizio punitivo: venivano mandati dei malfattori o degli antagonistici politici, spesso non abituati alla rigidità della montagna, ad espiare le proprie pene (una specie di "piccola Siberia" italiana). La vigilanza perse d'efficacia, riprese il bracconaggio e a volte fu persino ordinato ai guardiaparco di uccidere esemplari di stambecchi e di camosci della miglior specie per farne dono alle autorità militari. Durante la guerra, data l'assoluta scarsità di viveri, il bracconaggio si rese necessario anche per la popolazione locale. Tornata la pace gli stambecchi erano ridotti ad appena 400 capi. Il 5 agosto 1947, con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, venne istituito l'Ente Parco Nazionale Gran Paradiso con un consiglio di amministrazione composto da 13 elementi ed un corpo di guardie giurate alle sue dirette dipendenze. Fu nominato direttore soprintendente (lo sarà sino al 1969) il prof. Renzo Videsott che l'anno successivo, nel 1948, vi costituirà nel castello di Sarre la prima associazione ambientalista italiana, la Federazione Nazionale Pro Natura. Terminava così il lungo percorso di passaggio, durato quasi un trentennio, dalla riserva di caccia al parco nazionale.
Geologia e geomorfologia.
Monti. Il Gran Paradiso è l'unico massiccio montuoso culminante a oltre 4000 metri interamente in territorio italiano. Dai suoi contrafforti discendono degli impervi valloni che originano sei valli (Val di Cogne, Valsavarenche, Val di Rhêmes, Valle dell'Orco, Valle Soana e Valle di Champorcher). La fascia che va dai tre ai 4000 m. è ammantata di candidi ghiacciai, più estesi sul lato valdostano. Si tratta di ghiacciai perenni ma relativamente recenti essendosi formati durante la "piccola glaciazione" del secolo XVII. Dalla cima più alta (4061 m.) parte la dorsale che divide Cogne da Valsavarenche la quale, scendendo verso Aosta, si impenna nelle due vette dell'Herbetet (3778 m.) e della Grivola (3969 m.). Sul versante piemontese si stagliano verso il cielo il Ciarforon (3642 m.), la Tresenta (3609 m.), la Becca di Monciair (3544 m.). Queste montagne sono facilmente individuabili, da un occhio esperto, anche dalla pianura torinese. Il Ciarforon è una delle vette più singolari delle Alpi: sul versante aostano è ricoperto da un'enorme calotta ghiacciata; dal Piemonte appare come uno spoglio monte di forma trapezoidale. La Torre del Gran San Pietro (3692 m.) e i Becchi della Tribolazione (3360 circa) si trovano nell'alto vallone di Piantonetto; il punto di osservazione privilegiato è il rifugio Pontese al Pian delle muande di Teleccio. Dalla Punta di Galisia (3346 m.), un monte sulla cui sommità si incontrano i confini di Piemonte, Valle d'Aosta e Francia, si stacca in direzione sud-est un crinale fatto di cime frastagliate e appuntite che culminano nell'imponente bastionata rocciosa delle tre Levanne (3600 m. circa): sono le dentate e scintillanti vette che ispirarono l'ode "Piemonte" al poeta Giosuè Carducci che nel 1890 ebbe modo di venire da queste parti mentre presiedeva gli esami di maturità a Cuorgné. La Granta Parei (3387 m.) è la montagna simbolo della Val di Rhêmes: segna il punto più occidentale del parco. Le vette del settore orientale del parco sono più basse; tra di esse spiccano la Torre Lavina (3274 m.) e la Rosa dei Banchi (3164 m.). Quest' ultima è molto frequentata dagli escursionisti per l'aereo panorama che offre verso la Valle Soana e la Valle di Champorcher. Le cime del parco nazionale fanno parte ovviamente delle Alpi Graie.
Le acque.
Laghi. I laghi più grandi e suggestivi del parco si trovano nella zona circostante il Colle del Nivolet. Dai due Laghi del Nivolet, antistanti il rifugio Savoia nell'omonimo pianoro, nasce il torrente Savara che, dopo aver pecorso la valle cui dà il nome (Valsavarenche), confluisce nella Dora Baltea nei pressi di Aosta. Superato il gradino erboso che sta sopra il rifugio ci addentriamo nei piani di Rosset dove scorgiamo i laghi naturali più spettacolari dell'intera area protetta: il Lago Leità dalla particolare forma allungata e il Lago Rosset con il suo caratteristico isolotto. Quest'ultimi costituiscono la sorgente del torrente Orco che scorre verso il Piemonte e sfocia nel Po vicino a Chivasso. Poco distante dai piani di Rosset vi sono i Lacs des trois becs (tre grandi e due piccoli) e proseguendo ancora un po' il Lago Nero (o Lago Leynir). La "regione dei grandi laghi" è il cuore del parco nazionale: dalle sponde di questi specchi d'acqua il colpo d'occhio spazia su tutte le principali vette del Gran Paradiso e delle Levanne. In Val di Rhêmes troviamo il piacevole Lago di Pellaud: è ubicato all'interno di un bel lariceto ad una quota relativamente bassa (1811 m.). In Val di Cogne vi sono due interessanti laghetti: il Lago Lauson (Valnontey) ed il Lago Loie (2356 m., vallone di Bardoney). Sul versante indritto della Valle Orco, lungo il tracciato della mulattiera reale, poco sotto il Colle della Terra, tra le morene troviamo il Lago Lillet. Data l'altitudine (2765 m.) questo lago, tranne che per un breve periodo estivo, rimane sempre gelato. Nei suoi paraggi si possono incontrare, nella stagione propizia, branchi di stambecche, cuccioli e caprettini di pochi mesi. Il Lago Lillet è raggiunto anche da un ripido sentiero che sale dalla borgata Mua di Ceresole. Uno degli angoli meno conosciuti del parco è il Lago di Dres (2073 m.). Si trova sul versante inverso della Valle Orco, quasi all'estremo confine meridionale del PNGP. È uno dei pochi punti del lato piemontese dove si può scorgere la vetta ed il ghiacciaio del Gran Paradiso far capolino oltre le alte cime canavesane. E' interessante ricordare che la città di Torino dipende, per l'approvvigionamento idroelettrico, dai paesi canavesani di Ceresole Reale e Locana. In Valle Orco ci sono ben sei invasi artificiali gestiti da Iride S.p.A.: tre si trovano lungo la strada che conduce al Colle del Nivolet (Ceresole capoluogo, Lago Serrù, Lago Agnel), altri tre nei valloni laterali del versante solatìo (Piantonetto, Valsoera, Eugio).
Cascate. Data la forte acclività che caratterizza i valloni del Gran Paradiso va da sé che i torrenti che li solcano originino lungo il loro impetuoso fluire numerose cascate che ingentiliscono l'aspro paesaggio del parco. Le più spettacolari sono quelle di Lillaz, frazione di Cogne. Anche sul versante piemontese vi sono alcune pittoresche cascate facilmente osservabili dai turisti: quella sovrastante l'abitato di Noasca oppure quella formata dal torrente di Nel all'altezza della borgata Chiapili di sotto. Nei pressi delle baite di Chiapili di sopra, la borgata più alta di Ceresole Reale, altre due fragorose cascate fanno bella mostra di sé.
Flora. Nella parte più bassa del parco, come livello altimetrico, sono presenti boschi di latifoglie composti da Pioppo tremulo, nocciolo, ciliegio selvatico, acero montano, quercia, castagno, frassino, betulla, sorbo degli uccellatori. Le faggete, in una fascia tra gli 800 e i 1200 mt., si trovano soltanto sul versante piemontese tra Noasca, Campiglia e Locana. Tra i 1500 e i 2000 mt. vi sono le foreste di aghifoglie. Il pino cembro (Pinus cembra) è largamente diffuso in Val di Rhemês mentre l'abete bianco (Abies alba) si trova solo in Val di Cogne presso Vieyes, Sylvenoire e Chevril. In tutte le valli troviamo il sempreverde abete rosso (Picea abies) ed il larice (Larix europaea). Quest'ultimo è l'unica conifera d'Europa che perde gli aghi nel periodo invernale. I boschi di larice sono molto luminosi e permettono lo sviluppo di un folto sottobosco composto da rododendri, mirtilli, lamponi, gerani dei boschi, fragole di bosco. Impossibile elencare la sterminata varietà di fiori che da marzo ad agosto ravvivano con i loro colori i diversi ambienti del parco. Ci limiteremo ad alcuni esempi. Il giglio martagone (Lilium martagon), tipico del bosco, e il giglio di San Giovanni (Lilium croceum), che sboccia nei prati, fioriscono all'inizio dell'estate. Il velenosissimo aconito (Aconitum napellus) si trova lungo i corsi d'acqua. Tra la fascia più alta dei boschi e i 2200 mt. vi sono distese di rododendri con i loro caratteristici fiori a campanula color ciclamino. Oltre i 2500 mt. tra le roccie trovano il loro habitat la sassifraga, l'androsace alpina, l'artemisia, il cerastio e il ranuncolo dei ghiacci (Ranunculus glacialis). Anche la stella alpina e il genepì si trovano a queste altezze ma sono rarissimi. Le torbiere e le zone umide sono colonizzate dall'erioforo i cui candidi batuffoli preannunciano la fine dell'estate.
Fauna. Grande Fauna. L'animale simbolo del parco è lo stambecco presente in circa 3500 unità. Il maschio adulto può pesare dai 90 ai 120 kg. Le corna, un tempo ambito trofeo, presentano delle nodosità nella parte anteriore e possono arrivare anche a 100 cm. La femmina, più piccola, ha delle corna più liscie lunghe appena 30 cm. I branchi sono composti da soli maschi oppure da femmine e cuccioli. I maschi anziani vivono isolati. Il periodo degli amori coincide con i mesi di novembre e dicembre; in questo periodo gli stambecchi maschi che hanno raggiunto la piena maturità sessuale si battono tra di loro squarciando il silenzio dei valloni con l'inconfondibile rumore delle cornate udibile anche dal fondovalle. La femmina rimane fertile per pochi giorni. La gravidanza dura sei mesi. A primavera inoltrata, la stambecca si ritira su qualche cengia isolata dove darà alla luce (maggio, giugno) un piccolo, talvolta due. Lo stambeco ha un carattere mite ed imperturbabile e si lascia facilmente osservare dall'uomo. Il camoscio, invece, è diffidente, elegante nei suoi balzi, veloce e scattante. Di dimensioni minori (massimo 45-50 kg), se ne contano oltre 7000 esemplari. Le sue corna, non imponenti come quelle dello stambecco, sono sottili e leggermente uncinate. Questo ungulato non è più in pericolo di estinzione in quanto l'assoluta mancanza di predatori naturali ne ha favorito la crescita numerica e l'eccessiva colonizzazione del territorio (durante l'inverno scendono a valle danneggiando il sottobosco, attraversano le strade asfaltate, arrivano a cercare il cibo a pochi metri dalle case) tanto da rendere necessarie, a volte, delle azioni di caccia selettiva per ridurne il numero. Il parco non è un ecosistema così perfetto come si potrebbe pensare. I predatori naturali, come detto, sono del tutto assenti: l'orso e il lupo estinti da secoli, gli altri sono stati perseguitati ai tempi della riserva. Il compito delle Reali Cacciatori Guardie era quello di proteggere la selvaggina non solo dai bracconieri ma anche dagli animali ritenuti nocivi e il re ricompensava con laute mancie l'abbattimento di una lince, di un gipeto, di una volpe o di un'aquila. Si giunse così, all'incirca nel 1912-13, all'estinzione della lince europea e del gipeto barbuto; oggi si contano ancora 4-5 coppie di aquile mentre discretamente presente resta la volpe. Negli ultimi anni si è cercato di reintrodurre la lince.
Fauna Minore, Uccelli e Ittiofauna. Un altro animale molto diffuso nel parco è la marmotta (se ne contano circa 6000 unità). Vive in tane sotterranee con diversi cunicoli come vie d'uscita. Predilige le praterie e le poche aree pianeggianti (numerosissime al Piano del Nivolet). È un roditore e ai primi freddi cade in un profondo letargo che dura quasi sei mesi. Inconfondibile il suo verso: un fischio che la marmotta "sentinella" emette, drizzandosi in verticale, quando avvista un pericolo o un animale estraneo al suo ambiente seguito dal repentino fuggi fuggi degli altri componenti del branco. Fanno parte della fauna del Gran Paradiso anche numerosi volatili: poiane, picchi, cincie, pernici bianche, gracchi, sparvieri, astori, allocchi, civette ecc... Nei laghi e nei torrenti nuotano due specie di trote: una autoctona, la trota fario, l'altra alloctona, la trota iridea. Nei boschi di aghifoglie capita talvolta di rinvenire dei mucchi di aghi di conifere alti anche mezzo metro: sono i nidi della formica rufa. Tra i rettili ricordiamo le vipere (vipera aspis, tipica delle zone asciutte, e vipera berus che si trova presso i corsi d'acqua) e le salamandre (nera e pezzata).
(Questo articolo è rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License. Esso utilizza materiale tratto dalla voce di Wikipedia: "Parco Nazionale del Gran Paradiso". )
 
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